Montegrotto Terme. Area archeologica di via Neroniana e villa di età romana
via Neroniana 21/23 (Hotel terme Neroniane)
In un’area demaniale sono visibili i resti di una lussuosa villa costruita agli inizi del I secolo d.C., utilizzata e rimaneggiata almeno fino al III – IV secolo d.C. Il principale settore residenziale della villa è protetto con coperture permanenti evocative dei volumi originari.
L’area ha restituito anche tracce di frequentazione pre-protostorica (III – I millennio a .C.) non più visibili sul terreno, e di insediamenti di epoca medievale (V – XIV secolo d.C.) ancora in parte conservati. Approfonditi studi di geomorfologia e paleobotanica hanno permesso una ricostruzione del paesaggio antico dell’area prima della frequentazione umana (testi e immagini sono tratti da http://www.aquaepatavinae.it/ ). Approfondimenti
Ubicazione/come arrivare
Indirizzo: via Neroniana 21/23 (Hotel terme Neroniane)
Cronologia:
III millennio a.C. – XIV secolo d.C. e I – II secolo d.C.
Apertura :
A cura dell’Associazione LAPIS – lapisarcheologia@gmail.com – CALENDARIO APERTURE 2021
Storia degli Studi
Nel 1988, in occasione di lavori di aratura, emersero i primi resti archeologici della villa romana. Successivamente, l’allora Soprintendenza Archeologica del Veneto fece eseguire prospezioni con il georadar (1989) e sondaggi di scavo (1989-1992), che dimostrarono la straordinarietà del ritrovamento. L’area, sottoposta a vincolo (D.M. 26.06.1995), dal 2001 è in concessione all’Università degli Studi di Padova: qui si svolgono campagne annuali di scavo come tirocinio per gli allievi della Scuola di Specializzazione in Archeologia e gli studenti di corso di laurea.
Preistoria e Protostoria
La più antica testimonianza relativa all’impatto dell’uomo sul paesaggio naturale nell’area di via Neroniana risale al periodo tra 2.900 e 2.500 a.C. (piena età del Rame): la presenza di abbondante carbone, databile grazie al C14, inglobato in un livello di terreno depositatosi sul suolo allora esposto, suggerisce che qui, come altrove nelle aree di pianura, si svolgessero attività di disboscamento mediante l’utilizzo controllato del fuoco, per creare radure o spazi aperti da destinare ad agricoltura o allevamento.
Tra 2.400 e 2.200 a. C. (tarda età del Rame), il paesaggio tornò dominato dalla vegetazione spontanea; l’area era forse frequentata solo per occasionali battute di caccia, dato che le uniche attestazioni della presenza umana sono alcune punte di freccia, rinvenute incluse nel terreno rimaneggiato nelle fasi di età storica. Un’analoga situazione potrebbe delinearsi per gli stessi secoli nell’area tra il Monte Castello e il Colle di San Pietro Montagnon.
Il primo vero insediamento umano stabile risale al periodo tra XIV e XII secolo a.C. (età del Bronzo Recente e Finale); lo dimostrano da un lato le labili tracce di strutture (come alcune buche per pali), dall’altro i numerosi frammenti di recipienti in ceramica, le prime risparmiate, i secondi reimpiegati nel contesto delle successive attività edilizie.
Per tutto il I millennio a.C. (età del Ferro), l’area rimase sostanzialmente inabitata: abbandono secolare che creò le condizioni ideali, con l’inizio del millennio successivo, per la realizzazione di un ambizioso progetto di edilizia residenziale.
Età romana
Le imponenti strutture della lussuosa villa realizzata agli inizi del I secolo d.C. si estendono per oltre un ettaro e mezzo.
Le caratteristiche geotecniche del terreno da edificare, di bassura e dunque con forte tendenza all’impaludamento, imposero ai costruttori un preliminare sforzo di livellamento e la successiva bonifica dell’area tramite poderosi riporti di terreno impermeabile e l’escavo di almeno un canale perimetrale.
Dal punto di vista architettonico, la villa si articolava in due quartieri residenziali, affacciati su due, forse tre aree scoperte. Il quartiere residenziale settentrionale, il più articolato e meglio conservato, oggi protetto da coperture evocative dei volumi originari, aveva come fulcro una sala di rappresentanza di quasi 130 mq (1), accessibile da nord e da sud, divisa in tre navate da due file di colonne e caratterizzata da una preziosa pavimentazione in sottili lastre di pietra (“opus sectile”) bianche e nere.
Tutti gli altri ambienti si disponevano intorno a questa sala secondo una rigorosa simmetria. Di alcuni di essi si conservano le pavimentazioni musive: tappeti di tessere nere bordate da fasce bianche (vani 2, 3, 8) o viceversa (vani 6, 10, 12, 22). Il mosaico del vano 4 presenta un motivo “a zampe di gallina” bianco su fondo nero e la fascia di bordura, anch’essa bianca, risparmia da un lato una sorta di nicchia, nella quale forse era posto in origine un letto, connotando così la stanza come funzionale al riposo (“cubiculum”). Un pavimento straordinario, oggi purtroppo perduto se non per piccoli lacerti, doveva decorare il vano 5: un altro “opus sectile”, stavolta policromo e tutto di lastre di marmo, con un motivo di quadrati e rombi. Anche le pitture e gli stucchi che decoravano le pareti e i soffitti di questa lussuosa dimora si conservano per piccoli frammenti, inclusi nel terreno rimaneggiato in seguito; essi tuttavia sono testimoni da un lato della raffinatezza della scelta decorativa e dall’altro della maestria dei pittori impiegati.
La sequenza di vani simmetrici si affacciava su due corridoi (17a, 18). Il meridionale (17a) costituisce uno dei quattro bracci di un portico (17a, 17b, 17c, 17d) che delimitava un vasto giardino. Un secondo giardino più grande, animato da vialetti e giochi d’acqua, si sviluppava a sud, oltre un lunghissimo corridoio a nicchie e con fronte porticata (H); su questo si affacciava il secondo quartiere residenziale, che comprendeva almeno una sala da pranzo (E: “triclinium”) e un ulteriore vasto ambiente di rappresentanza (G), oltre ad alcuni vani di servizio (C, I, M). Il recinto del giardino più grande formava a sud un’ampia esedra, al culmine della quale, in perfetta simmetria con la sala 1, si trovava un ambiente (b) il cui ingresso dal giardino doveva essere scandito da colonne. Si ipotizza che questo ambiente fosse funzionale allo svolgimento di un qualche culto privato, come del resto tipico nei giardini ben apparecchiati delle ville romane; tra l’altro, proprio lì vicino, appena fuori del recinto della villa, erano state deposte in una fossa alcune anfore e una brocca coricata, come una sorta di rito di fondazione.
La villa romana è il frutto di un progetto ingegneristico e architettonico unitario, nel quale sono state impiegate maestranze di grande abilità, consapevoli delle risorse per l’edilizia offerte dal territorio e competenti nello sfruttarle adeguatamente: si volle dunque creare nell’area termale euganea una villa che nulla avesse da invidiare alle grandi dimore coeve del Lazio o della Campania, sia nella forma dell’architettura che nell’arredo decorativo. Tutto ciò lascia intuire la volontà di una committenza di altissimo rango, anche se l’identità resta a noi sconosciuta.
La villa subì alcuni rimaneggiamenti nel II e ancora tra III e IV secolo d.C.; in seguito probabilmente venne abbandonata.
Età medioevale e moderna
Tra VIII e IX secolo d.C. (Alto Medioevo), su una parte del quartiere residenziale settentrionale della villa romana si impiantò un piccolo villaggio di capanne, realizzate sia sfruttando alcuni dei muri diroccati dell’edificio antico, sia utilizzando materiali deperibili (terra e legno). Alcuni pavimenti musivi vennero smontati fino a esporne il livello di sottopreparazione in argilla dal caratteristico colore rosso-arancio, riusato come piano di calpestio e di imposta dei focolari domestici. Accanto alle capanne si sviluppò un piccolo cimitero, probabilmente degli stessi abitanti del villaggio: povera gente, seppellita senza corredo. Un fenomeno simile si riscontra anche nella villa di via San Mauro.
Probabilmente a cavallo del Mille, si intraprese un’opera sistematica di bonifica dell’intera area, funzionale all’impianto di un insediamento più strutturato e popoloso. Tutti i resti delle murature preesistenti vennero abbattuti, insieme a quelli delle capanne povere, si livellò l’area con terra di riporto e la si bonificò scavando una rete di canali artificiali. L’insediamento si componeva di un edificio più importante (I), costruito con zoccolo in muratura e alzato in materiali deperibili, di capanne più povere ed era forse servito da una strada.
In una seconda fase, durata fino al XIV secolo circa, l’edificio principale venne ampliato (III) ed elevato di almeno un piano; all’interno di esso vennero attivati un poderoso focolare e un silos per la conservazione delle derrate, mentre all’esterno si svolgevano attività produttive, forse legate all’ambito tessile.
Ultimo aggiornamento
23 Agosto 2021, 12:30